Il monte Pozzoni da Roccasalli

Sui monti di nessuno, tra Sibillini e Reatini.


Giusto una mattinata propizia di bel tempo, quella che in gergo si dice un finestra che si apre tra una perturbazione e l’altra, ci dava l’occasione per una veloce uscita in montagna… Tonino e Antonella ci hanno tolto anche l’onere e l’imbarazzo della scelta della meta… più facile di così si muore. In montagna, in compagnia e anche con qualcuno che pensa all’organizzazione, una pacchia. E non basta, con la sensibilità che distinge Tonino e Antonella, durante l’avvicinamento la meta è anche cambiata all’ultimo momento: doveva essere il monte di Mezzo da Campotosto ed è diventato il monte Pozzoni, più accessibile dalla Salaria e di fatto molto strategico per chi come noi deve rientrare su Roma subito dopo. Sul Pozzoni c’eravamo saliti un paio di Inverni fa, allora partendo da poco sopra Cittareale, ricordo l’eleganza di quel versante e l’unicità del panorama dalla vetta dove si dominano in un colpo solo Sibillini, Laga e Gran Sasso e non solo. Tonino aveva scelto stavolta il versante ad Est per salire, rispetto alla dorsale di vetta quello che sta dalla parte opposta di Cittareale, da Roccasalli sempre in territorio laziale, zona amatriciana, anche se il paese è una frazione di Accumuli. Da Ascoli percorriamo la Salaria, superiamo la strada che sale direttamente ad Accumuli e dopo poche centinaia di metri prendiamo sulla destra verso il paese di Terracino. Sfioriamo ciò che rimane di Accumuli ancora presidiato dall’esercito, superiamo piccolissimi agglomerati fantasma ormai distrutti e disabitati, superiamo Terracino dove si ripete la solita distesa di case sconvolte e poco più in là la distesa di casette di legno, triste continuità dell’agglomerato urbano, e dopo una infinita serie di curve e panorami che si aprono ora sulla valle dell’alto Tronto sottostante ed ora sull’imbiancato Pozzoni, raggiungiamo il piccolo borgo di Roccasalli. Il paese si trova a 1086 metri di altezza, alle pendici del nostro monte, dal punto di vista tettonico, si trova sulla dorsale appenninica tra i Sibillini e la Laga, di fatto una delle zone a più alta attività sismica degli Appennini, orograficamente ricade nel bacino del Tronto. Manco a dirlo è stato coinvolto pesantemente nell’ultimo sisma del centro Italia e di fatto il piccolo borgo è semidistrutto ed i pochi abitanti sono stati spostati, anche qui, in un villaggio attiguo composto dalle ormai famose e tristi casette di legno. Quello che oggi è poco di più di un agglomerato di ruderi ha avuto una sua storia complicata, ne più e ne meno quella dei tanti piccoli borghi sparsi nel territorio, vale la pena accennarla per capire meglio che danno avremmo se, come in tanti temono, questi paesi non riemergeranno dalla distruzione del sisma: un po’ storia e un po’ tradizione il paese deve il suo nome ad una antica famiglia, quella dei Salli, che ha costituito il primo nucleo abitativo del paese probabilmente intorno al XII secolo. La famiglia dei Salli provvide alla edificazione di una rocca in cima al monte Rotolone in posizione dominante rispetto alla vallata sottostante e con funzione di difesa. Vale la penna ricordare, come si potrà evincere dalle foto che accompagnano questa relazione, la vista che dal paese si allarga fino alla dorsale della Laga e fino al Gran Sasso dominando così tutta l’alta valle del Tronto. Tanto strategica era la posizione che tra il 1200 ed il 1300 il territorio fu aspramente conteso dalle città di Norcia, Amatrice e Arquata del Tronto. Le ultime due unendosi ebbero la meglio contro Norcia ed ottennero così il controllo del borgo ponendolo così sotto il controllo di Ascoli Piceno, era circa l’anno 1255. La posizione geografica peculiare di confine che si è protratta nei secoli ha fatto si che il paese sentisse svariati influssi politici, sempre conteso tra il ducato di Spoleto e il Vescovado di Ascoli Piceno è finito per entrare nella zona di dominio dei Borboni più tardi e quindi del regno delle due Sicilie. La rilevanza della cittadina per il controllo del territorio ha perso via via importanza a causa di una terribile sequenza sismica che negli anni 1632, 1639, 1703 e 1730 ne hanno praticamente azzerato il patrimonio architettonico, riducendolo all'odierna dimensione di borgo. L’ultima terribile mazzata l’ha ricevuta col sisma di due anni fa, praticamente all’interno del cratere sismico che ha raso al suolo Amatrice, Pescara del Tronto e Arquata, e distrutto Accumuli il borgo è un insieme di poche abitazioni devastate e inagibili; si è trasferito in una piccola piana attigua al vecchio abitato, solo casette di legno, poche casette per le poche famiglie che vivevano in questo periferico borgo, chissà se riuscirà a risollevarsi ancora. Note anacronistiche per parlare di un borgo degli Appennini, uno dei tanti, che non esiste più; stiamo perdendo brandelli di storia, di tradizione, di cultura senza poter reagire. Zone che avevano la oro importanza quando le pecore e l’economia rurale erano il valore sono trasparenti oggi in cui conta solo massimizzare i profitti e vivere di corsa. Tutti trasferiti in città oggi, e questi borghi che parlano dell’Italia che siamo si sbriciolano tra scosse di terremoti e indifferenza. Ce ne dovremo fare una ragione. Poco fuori il borgo accanto ad un originale segnaletica in legno che ci dice che siamo a Roccasalli una palina indica una carrareccia molto evidente per raggiungere il monte Rotolone prima ed il Pizzone dopo, senza battere ciglio l’avrei imboccata, ma Antonella e Tonino, signori di questa “Cambogia” di piccole montagne e fossi si dirigono dalla parte opposta; attraversiamo le poche case del borgo, ci infiliamo in una viuzza che tra calcinacci e rovine lo attraversa e in una cinquantina di metri siamo già “dietro” il borgo, cinquanta metri di devastazione e pietà. Non ci sono segnali, Antonella batte la via, seguiamo un sentiero che si abbassa dentro un ampio fosso, lo superiamo a sempre cercando una traccia che sanno esistere puntiamo la bassa dorsale che abbiamo di fronte; in buona sostanza non ci dirigiamo direttamente verso il Pozzoni ma ci arriveremo aggirandolo, avvicinandoci dalla dorsale che sta poco ad Est della vetta principale, una dorsale che da qui sembra essere composta da piccola boscaglia e frattoni immani. La ricerca della traccia giusta continua, finiamo dentro il piccolo fosso, lo attraversiamo e risaliamo alla meglio l’alto versante opposto fino a raggiungere l’ampia e scoperta dorsale dove finalmente la troviamo, ci viene in mente che forse l’attacco giusto si trova direttamente alla base della piccola dorsale che scende a lato del borgo. Di fronte il profilo si inerpica mentre sulla sinistra si scorge già il profilo dell’ampio tratturo che aggira il promontorio verso Ovest, davanti ora abbiamo il bianco profilo del Pozzoni, una massiccia e lunga cresta da qui quasi piatta, la vetta della montagna, rispetto all’eleganza del versante opposto è appena uno sperone roccioso che si alza di poco dalla coltre nevosa; ci siamo alzati di poco dal paese ma quello che basta per allargare l’orizzonte, oltre che sul nostro monte anche fino alla totalità della dorsale della Laga, fino ai profili inconfondibili del Gran Sasso. Ora la traccia è certa, la seguiamo senza porci domande, tanto i nostri compagni sono assoluti padroni della situazione; aggira il promontorio e si addentra in una valle secondaria sempre salendo con pendenza costante e non eccessiva. Si infila dentro una stretta e lunga valletta che divide due versanti boscosi di abeti, a sinistra sono evidentissimi i segni di un incendio che lo ha quasi deturpato irrimediabilmente. Nei pressi di un abbeveratoio, siamo a quota 1450 circa, ci infiliamo le ciaspole, la neve è comparsa già da un po’ e si comincia ad affondare. Superiamo la lunga strettoia e ci troviamo dentro un ampia piana, fatta di leggere ondulazioni e fossi, sparuti faggi dipingono il paesaggio fin tanto non ci alziamo sulla successiva dorsale, da dove la bianca lunga cresta della Laga ritorna padrona degli orizzonti. Memori di una precedente escursione Antonella e Tonino si mettono alla ricerca di una fonte e soprattutto di un antico cippo di confine; dirigendoci in direzione della vetta del Pozzoni che sta davanti a noi verso Ovest non fatichiamo tanto a trovarli, il cippo si erge proprio sulla larga dorsale, la fonte poco sotto verso Est rispetto al cippo stesso. E’ sempre emozionante avere a che fare con questi reperti, con questo antico sistema per delineare i confini che lo stato della chiesa e il regno borbonico avevano concordato; questo non è in buono stato, ne ho incontrati di meglio conservati. Su lato a Nord Ovest si leggono appena i simboli pontifici, sul lato verso Sud Est la pietra fortemente scolpita e danneggiata è praticamente indecifrabile, il resto lo hanno fatto muschi e licheni di cui è ricoperto. Per chi ha voglia di saperne di più forse vale la pena riportare qualche sintetica informazione su questo sistema di tracciatura di confine, che traggo e riporto volentieri, dal sito di Giuseppe Albrizio “Le mie Passeggiate” (http://www.lemiepasseggiate.it/): “dopo decenni di controversie tra il Regno delle Due Sicilie e lo Stato della Chiesa, per stabilire l’esatto confine dei territori e al fine di gestirne le risorse, venne sottoscritto a Roma, il 26 settembre 1840, un trattato di intese che prevedeva tra l’altro l’installazione di 686 Termini (Cippi) di confine numerati progressivamente dal mar Tirreno al mar Adriatico (la numerazione effettiva va da 1 a 649 perché alcuni Cippi hanno lo stesso numero seguito da una lettera alfabetica maiuscola). Il Cippo n°1 fu posto alla foce del fiume Canneto tra Fondi e Terracina, il n° 649 al ponte di barche di Porto d’Ascoli presso la foce del fiume Tronto. Sotto ogni Cippo venne sotterrata una medaglia di lega metallica recante lo stemma dei due stati. I lavori di apposizione dei Cippi iniziarono dal versante tirrenico nell’anno 1846 e le Colonnine poste in quel periodo portano scolpita questa data, tutte le altre portano la data del 1847. I Cippi furono posti in modo che la data di apposizione con le chiavi di San Pietro guardassero in direzione del territorio dello Stato Pontificio mentre il numero progressivo con il giglio in direzione del territorio del Regno Borbonico. La linea scolpita sulla testa del Cippo indicava la direzione del confine e quindi la posizione di quello precedente e di quello successivo. I Cippi non venivano posizionati ad una distanza regolare l’una dall’altra ma seguendo una logica a secondo la conformazione del terreno; nei luoghi dove il confine seguiva il corso di un fiume o di una valle ne venivano posizionati pochi, mentre, dove il confine seguiva una linea irregolare, venivano posti uno vicino l'altro. Venivano ricavati da grosse rocce presenti lungo la linea di confine o da cave di pietra, grazie al lavoro di scalpellini, e poi trasportati a spalla da numerosi uomini sul luogo di apposizione. Con l’unificazione d’Italia la maggior parte dei Cippi furono rimossi dal loro posto originario alla ricerca dei medaglioni ivi sotterrati, poi alcuni furono rotolati lungo i pendii, altri distrutti, altri asportati e portati davanti alle chiese, piazze, cimiteri di paesi limitrofi al confine, case private e fortunatamente alcuni lasciati nei luoghi originari. Ogni Cippo fu collocato in una buca in cui era stata posta la scatola contenente una medaglia di ghisa, chiamata “testimone” dal diametro di 10,7 cm e dal peso di circa un chilogrammo, appositamente coniata, recante gli stemmi dei due stati su una faccia e, sull’altra, la dicitura -Uno dei due segni / collocati per indicare / la linea di confine tra / lo Stato Pontificio ed il / Regno delle Due Sicilie / stabilita col trattato / conchiuso l’anno / 1840-“. Affascinante storia vero? Riprendiamo l’escursione invece di divagare. Dal cippo non c’è altra scelta che procedere per linee logiche su una piccola selletta e risaliamo il pendio successivo aggirando il bosco sulla destra, occorre fare attenzione per trovarli ma alcuni segnavia sono disegnati sugli alberi e seguendoli ci inoltriamo nel rado bosco. Probabilmente in estate sarà evidente la traccia di calpestio, ora che è inverno e i faggi sono spogli è comunque sufficiente farsi guidare dalla cima del Pozzoni che contraddistingue l’orizzonte e che abbiamo davanti, il resto sono come ho detto solo linee di pendenza logiche, un vallone stretto innevato, una piccola dorsale ed una impennata che ci porta oltre il limite del bosco stesso. Siamo a quota 1800, non rimane che l’ultimo strappo fino ai 1903 mt della cima. Quando il pendio si inerpica ulteriormente Antonella è guardinga, è l’unica ad avere i ramponi nello zaino e probabilmente non si fida della nostra capacità di ridiscendere quel pendio. Fin lì il manto nevoso era relativamente soffice, affondava qual tanto che bastava per rendere sicura la salita e la successiva discesa; sarei salito senza indugiare ma non ho voluto mettere in difficoltà nessuno, in fondo la vetta è solo una spunta e abbiamo di comune accordo ripreso la discesa. Sulla logica possibilità di ritornare sui nostri passi ha vinto la voglia di Tonino di percorrere un anello e di seguire le linee ben chiare che ci avrebbero portato su una dorsale scoperta che dominava il versante a destra rispetto a quello di salita; un primo tratto dentro un ripido e largo vallone, lo abbiamo percorso distanziati per evitare il più possibile rischi di smottamenti e slavine e ci siamo addentrati nel bosco dove invece era davvero difficile proseguire a causa della neve molle. Dal bosco siamo usciti esattamente sulla dorsale libera dagli alberi che abbiamo visto dall’alto, un vero affaccio privilegiato sull’alta valle del Tronto e sulla Laga intera, dire che era un posto idilliaco è dire poco. Abbiamo continuato sulla linea di dorsale prima allo scoperto, poi di nuovo dentro un rado bosco. I versanti intorno iniziavano a sfuggire ripidi e sembrava non esserci via per scendere dentro il profondo vallone sulla destra, sulla sinistra le pendici precipitavano decisamente, abbiamo proseguito sulla dorsale alla ricerca di un punto di discesa più agevole, per un momento infrattandoci poi di nuovo allo scoperto fino a raggiungere il breccioso monte Rotolone. Le ciaspole non servivano più la neve era sparita. Senza salire in vetta e prima di aggirarlo sulla destra per una ampia cengia detritica una bella ed insolita croce era stata disposta orizzontalmente, appena inclinata, come fosse una panchina, assolutamente invisibile dal basso, singolare presenza, sul versante opposto ben marcato scorreva il sentiero che avevamo percorso la mattina in salita. Usciti dall’ampia cengia, in pratica un comodo sentiero che aggirava il monte Rotolone eravamo in vista di Roccasalli, ancora alti e verticali sul paese, ma senza un sentiero evidente da seguire. Forse il sentiero lo abbiamo perso poco più in alto, sulla dorsale dove un cartello rivolto verso il vallone indicava forse una via che non abbiamo visto perché coperta dalla neve, dovevamo usare un po’ di logica ma pazienza in qualche maniera saremmo scesi lo stesso. Più che scendere a dire il vero siamo rotolati, forse da questo il nome del monte, più scendevamo e più il pendio aumentava, terra friabile e rocce piccole poco affidabili, era un disastro per le caviglie scendere e in basso l’approccio è anche peggiorato perché siamo entrati in una zona di boscaglia bassa e disordinata, un enorme frattone, meglio non potrei descriverlo. In qualche maniera, abbiamo raggiunto il fondo valle, teatro di una recente slavina visti i tanti detriti e alberi ammucchiati ai lati. Non rimaneva che ritornare alle macchine, non abbiamo toccato il Pozzoni ma ci siamo fatti una bella scorpacciata di territorio “selvatico” ed una bella scorpacciata di ciaspole. Soprattutto in compagnia e questa è stata in assoluto la nota più bella della giornata. Come è finita la giornata? Come sempre, con le “zampe” sotto il tavolo. A Torrita, tra tanta distruzione e casette di legno è rimasta intatta una trattoria quasi nelle vicinanze della Salaria dove ci hanno portato una amatriciana da far paura e non solo. Il rientro verso Roma è stato per così dire pesante e sonnolento, non poteva essere altrimenti. Il monte Pozzoni … e la sua vetta … possono attendere. A proposito del monte Pozzoni, qualche dettaglio vale la pena spenderlo su questa affascinante piccola montagna: chi sa ad esempio che la sua vetta ricade in provincia di Perugia? Strano vero? Ma è così. La sua dorsale è disposta da Nord Est verso Sud- Ovest, è lo spartiacque tra la media Valnerina (comuni di Monteleone di Spoleto e Cascia) ad Ovest, l’alta valle del Tronto ad Est (comuni di Cittareale e Accumuli) a l’alta valle del Velino s Sud (comuni di Borbona e Posta). E’ una montagna difficile da riconoscere, a seconda del versante da dove la si osserva appare diversa; affascinante, quasi alpina se la si guarda da Sud, dalla Salaria nei pressi di Borbona, una affascinante e stretta valle si insinua fin quasi all’anfiteatro di vetta, mentre diventa una dorsale quasi uniforme e monotona se la si guarda da Est, dal versante di Roccasalli. Non è facile attribuirgli una associazione o una continuità con i gruppi appenninici limitrofi, si è soliti attribuirla e associarla ai vicini monti Reatini, ma di fatto è una montagna isolata. Se si osserva bene il territorio fa parte di una dorsale che anche se non ben definita assicura, insieme al monte Utero, al monte dei Signori e al monte Borragine, una certa continuità tra i complesso dei Sibillini e quello dei Reatini, anche se poi nelle vicinanze spiccano altre montagne, la Laga e i monti dell’alto Aterno con cui invece c’è meno continuità. Quasi meriterebbe di far parte di un sottogruppo a se. Ultima nota, forse la più importante che lo distingue, sulla valle del versante di Cittareale, quella valle magnifica che ho definito quasi dal profilo alpino si trovano le sorgenti del fiume Velino, il fiume di Rieti, il fiume che da più avanti origine alle Cascate delle Marmore. Spero davvero di avervi incuriosito.